Inquisition – “Nefarious Dismal Orations” (2007)

Artist: Inquisition
Title: Nefarious Dismal Orations
Label: No Colours Records
Year: 2007
Genre: Black Metal
Country: U.S.A.

Tracklist:
1. “Ancient Monumental War Hymn”
2. “Nocturnal Gatherings And Wicked Rites”
3. “Strike Of The Morning Star”
4. “Through The Infinite Sphere Our Majesty Shall Rise”
5. “Infernal Evocation Of Torment”
6. “Where Darkness Is Lord And Death The Beginning”
7. “Nefarious Dismal Orations”
8. “Enter The Cult”
9. “Before The Symbol Of Satan We Bow And Praise”

Alla stregua di una qualche arcana mostruosità partorita dalle malate fantasie del celebre Antichrist Kramer e prontamente ritratta su di una delle loro inquietanti copertine, la carriera degli Inquisition più di quella di ogni altro nome di rilievo nello scenario Black Metal può vantare un esteso periodo di ombrosa incubazione dell’orrore congenito nella proposta sonora e concettuale prima dell’attesa apparizione ectoplasmatica negli impianti e nelle discussioni degli appassionati, coincisa senz’altro con un oggettivo upgrade qualitativo ma, allo stesso tempo, utilissima sia a presentare fin da subito alle masse un act al pieno delle sue potenzialità che a donare ad esso una credibilità sotterranea ed un rispetto assai rari nei confronti di nomi comunque non proprio storici; una che nemmeno pesanti scandali di natura privata hanno potuto far venire meno tra gli autentici seguaci. Marchiato dagli esordi nel turbolento (in tutti i sensi) contesto colombiano e poi radicatosi nei pressi dell’anni luce distante Cascadia, nell’aprile 2007 già spartita tra i ben avviati Agalloch e dei Wolves In The Throne Room vicinissimi alla consacrazione, il duo statunitense ha saputo trarre linfa vitale da simili e portentose discontinuità tra sé ed il territorio circostante elaborando una formula inedita ed irreplicabile, la quale come nel più maligno dei sogni americani ha finito col premiare Dagon ed Incubus solo dopo due decadi d’indefessa attività.

Il logo della band

Dove però trovi davvero compimento questa diabolica genesi di un sound sittanto portentoso, sulle cui spalle due musicisti a quel punto pressoché quarantenni si sono ritrovati a suonare sui principali palchi del giro non soltanto estremo (peraltro in barba proprio ad età e formazione non certo studiata apposta per il contesto live), è invece una questione di gran lunga maggiormente aperta rispetto al valore di un monicker sul quale, almeno per un lustro abbondante, l’utenza di settore si è trovata senza problemi in largo accordo. Coronata dall’immediatamente successivo contratto con la lanciatissima Season Of Mist, l’ascesi della coppia di strumentisti ad apex predator riconosciuti nel loro ecosistema d’appartenenza andrebbe ricondotta probabilmente allo shift iconografico e -di rimando- anche musicale tra i fumosi riti celebrati nelle profondità cavernose della pagana Madre Terra e le peregrinazioni lungo la blasfema Volta Celeste raffigurata sull’artwork di “Ominous Doctrines Of The Perpetual Mystical Macrocosm”: acclamato full-length rilasciato nel 2010 e prova definitiva di come gli Inquisition fossero diventati ormai il proverbiale pesce troppo grosso per lo stretto stagno della piccola, agguerrita scuderia No Colours Records.
Mentre dunque lo sguardo di Dagon si sposta tra le stelle morenti e la materia oscura di cui è composto un Empireo comunque inscindibile dalla presenza del Maligno, in un continuo dialogo tra Scienza e Fede orchestrato da una mente dalla notevole acutezza, i pezzi di pari passo iniziano a suonare più aperti, anche luminosi in alcuni frangenti e dotati di una catchiness (per così chiamarla) più unica che rara nel genere; e se tali sviluppi si renderanno certo palesi nel tonante lavoro produttivo e nei giri melodici smaccati dell’ultima, acclamata e suddetta prova sotto la label tedesca, tuttavia a riascoltare dopo quindici anni dalla sua uscita un episodio anche ingiustamente un pochino meno glorificato quale fu “Nefarious Dismal Orations” non si fatica in verità a scorgere tutti i segnali di una supernova il cui impatto, dovendo attraversare distanze siderali, ci avrebbe colpiti solamente qualche anno dopo.

La band

Di sicuro non sono però i canti religiosi sfigurati all’inizio di “Ancient Monumental War Hymn” ad aprire il portale verso le sterminate lande cosmiche e la sacrilega conoscenza in esse celata, nonostante l’apparato sonoro di rinnovata corposità e l’agilità nel districarsi tra opposti bpm spinta al massimo coinvolgimento nello schiacciante mid-tempo a metà della seguente “Nocturnal Gatherings And Wicked Rites”. I piedi difatti rimangono per ora ben piantati nelle familiari frequenze basse, grugnite dalla espressiva chitarra del maestro di cerimonie ed ancora immerse nella bile nera con la quale le prime registrazioni di Demoncy e Profanatica (questi ultimi debuttanti su full-length di lì a un mesetto) avevano tracciato i lineamenti del volto più truce del Black Metal a stelle e strisce.
Dieci minuti e passa di magnificenti glorificazioni di Lucifero potrebbero nel mentre aver rassicurato gli ascoltatori veterani presentatisi nel 2007 al rituale smaniosi di sangue fresco, ma quello officiato dagli Inquisition è -oggi lo sappiamo bene- un culto dove nemmeno il più fedele degli adepti può sentirsi al sicuro dai mortali colpi della stella del mattino: e così l’a posteriori quasi autobiografica “Strike Of The Morning Star” parte in odor di quel Black/Thrash cadenzato figlio dell’esperienza sudamericana, per poi trascinarsi su rallentamenti solenni prima di irradiare una melodia celestiale dalla forza visionaria e dalla magnificenza pari soltanto a quelle dei corpi siderali rotanti nel vuoto sconfinato, e che a ben sentire pare maggiormente vicina all’alba di un nuovo universo musicata nel 2020 in Black Mass For A Mass Grave” rispetto a quasi ogni cosa prodotta dallo stesso duo nei tredici anni intercorsi tra i due album. Molto meno repentino nel suo decorso eppure ugualmente inumano nella sua bellezza, il piccolo classico “Where Darkness Is Lord And Death The Beginning” funge invece da prova generale per il grande balzo artistico degli ex-ragazzi di Seattle alla volta degli astri, con degli arpeggi inediti (o al minimo per la prima volta tanto caratterizzati) da cui Dagon avrebbe tirato fuori quanto mrno altri tre album divini, finalmente liberati a danzare sinuosi e ossimoricamente leggeri sul drumming spartano dell’insostituibile Incubus; tutto ciò succeduto non a caso dal supremo sacrificio del proprio caduco involucro umanoide sui dissonanti fiati della title-track, dove perfino il sovente criticato vocalist sperimenta toni alieni tra falsetto e recitato (un accenno importante delle ambizioni che si manifesteranno tre anni dopo nel futuro classico “Desolate Funeral Chant”) trasfigurando la bestia Inquisition in una forma di vita con in sé più nulla di questo genere, né di questo mondo.

Novelli Ciàula colti nel 2007 proprio nell’attimo di completa estasi di fronte ad una Luna intravista per la prima volta nella sua dimensione mistica (seppure lungo una tracklist comunque ancora pienamente devota alla causa dell’Avversario) i due che all’anagrafe rispondono ai nomi di Jason Weirbach e Thomas Stevens sigillano dunque col trionfale inno “Before The Symbol Of Satan We Bow And Praise” l’opera la quale ne segna la personale rivoluzione percettiva riguardo la natura di ciò che loro stessi decantano: da qui in avanti il Diavolo, o qualunque cosa abiti le criptiche liriche del mastermind, non avrà più alcun bisogno di caos posticcio lasciato saggiamente ad altri più incapaci interpreti per manifestarsi, bensì dell’unico e dionisiaco trasporto che solo un riff di grande presa può assicurare, a ribadirne la prometeica natura di portatore di Luce imbracciata parimenti dall’effettiva condotta musicale. Il prezzo di una simile epifania culminante nell’avvicinamento a coordinate sicuramente più prossime al grande pubblico sarà, oltre ad una certa prevedibile incomprensione da parte di quest’ultimo, il trovarsi nella scomoda dinamica a catena di montaggio per conto di una major fino alla loro controversa estromissione, seguita da una rinascita sublime quanto del tutto inaspettata. Ma d’altra parte più in alto si vola e più rumore si fa quando si cade: motivo per cui le invocazioni di cuore e genio sfornate dagli Inquisition non hanno bisogno né di riflettori né di lustrini per brillare come dovrebbero e puntualmente fanno; lo dimostrò appunto quindici anni addietro “Nefarious Dismal Orations”, ultimo prodotto rubricato sotto la delicata e contraddittoria terminologia di underground nonché presumibile primo ed effettivo passo in una nuova era compositiva dei due, e con tutta probabilità lo confermeranno ancora le future mosse di una band ormai inarrestabile.

Michele “Ordog” Finelli

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